Fenomeni migratori: perché parliamo di emergenza?

Se un’emergenza è prevedibile è nostro dovere fare il possibile per minimizzare il rischio che si verifichi.
Nonostante vi siano dati monitorabili, dinamiche secolari e una presenza costante nella storia dell’uomo, un tema spesso connesso con l’emergenza è quello dei fenomeni migratori.
Ma perché si parla di emergenza immigrazione?

La Storia offre un primo quadro

Perché non siamo debitamente consapevoli e questo porta a non essere mai formati quel che basta per saper gestire il fenomeno, che risulta così bollato quale una costante emergenza. Se nella comunicazione sociale, infatti, individuiamo obiettivi quali informare, sensibilizzare ed educare, questo ordine è anche quello gerarchico e decrescente in cui troviamo preparate le persone sul tema immigrazione.
La maggior parte si percepisce come adeguatamente informata, alcune persone sono sensibilizzate sul tema (solitamente qui mettono le radici dinamiche polarizzate) e poche risultano educate in materia. L’educazione è da intendersi, in questo frangente, soprattutto come base di conoscenza storica della geopolitica dal secondo dopoguerra in poi.
Questo è il primo passo per creare un quadro, a seconda dei Paesi di provenienza delle persone, delle dinamiche di disperazione e fuga da situazioni non compatibili con la vita umana e con la dignità, che li spingono a fuggire, e distinguerli da quelle di scelta alternativa, migliorativa della vita (si riporta qui il link alla spiegazione in merito operata da Toni Capuozzo nell’intervista rilasciata ad About Emergency), spesso legittime ma narrate con toni enfatici.

Afferma, nel suo ultimo libro, il professore Stefano Allievi, ordinario di Sociologia presso l’Università degli Studi di Padova:

Per noi, che nasciamo bipedi, il territorio di riferimento (e non solo in senso fisico, geografico) non è più necessariamente quello in cui nasciamo: è dove decidiamo di mettere radici. Salvo la possibilità di toglierle da lì, se lo vogliamo. E trasformarci.

Quindi è nella natura umana cambiare territori. Quello che è necessario capire è come la comunicazione possa gestire la narrazione di un fenomeno naturale, senza che vengano puntualmente utilizzati i toni allarmistici di un’emergenza costante, che oltretutto affievolisce l’attenzione e la sensibilità verso l’emergenza umanitaria quando questa realmente avviene.

I dati ufficiali dell’immigrazione

In una società evidentemente multiculturale il primo passo da fare è scegliere con cura le fonti: da comunicatori assennati, la mera ricerca online non può bastare. Bisogna domare l’onda della polarizzazione ideologica e politica e cercare i dati effettivi, scientificamente rilevati. Esiste a tal proposito il portale ufficiale del Governo che fornisce continuamente e in tempo reale un quadro aggiornato sull’andamento degli arrivi e sulle presenze dei migranti nelle strutture di accoglienza. Anche l’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, offre un servizio simile, che è possibile consultare anche su scala più ampia.

Parole che decodificano il fenomeno

In secondo luogo, sempre da comunicatori, ricorre il valore della scelta delle parole, perché la prima comprensione di qualsiasi fenomeno risiede nella sua decodifica e questa è possibile in modo prioritario attraverso il linguaggio.
L’impatto che la scelta dei termini può avere, in un mondo di fruizione veloce, passa anche attraverso la fonetica. Per non parlare della diversa percezione che possono avere i verbi alla forma attiva o passiva, delle negazioni o dei modi condizionale o futuro, ad esempio, che possono trasmettere incertezza, che lascia spazio a supposizioni.
Certo queste ultime fanno parte dell’animo umano, la criticità odierna è che non vengono cercate poi le prove a conferma così di frequente, anche solo con la ricerca di fonti diametralmente opposte nel descrivere un fatto. Risulta più facile (perché istintivo) indignarsi, trovare – per algoritmi informatici, innanzitutto – le informazioni che confermano la nostra posizione, sfruttare anche il vissuto (compreso il sentito dire) a supporto della propria opinione.

Per un’opinione vicina all’oggettività

Un esercizio curioso può essere quello di scegliere una voce di Paese di provenienza di un popolo dalle fonti sopra citate e studiare la storia e la politica degli stessi, perlomeno degli ultimi 50 anni.
Solo dopo, indagare sulla storia della loro migrazione, da quanto avviene, dove è diretta, che mutazioni sono avvenute. Infine, cercare testimonianze nella vita reale, parlare con persone che rappresentano il popolo su cui si compie la ricerca, chiedere motivazioni personali e vissuto attuale del loro Paese. Solo dopo, probabilmente, potremmo ritenere di avere un’idea in merito che si avvicini all’oggettività e saremo pronti a comunicare questa piccola porzione di un fenomeno secolare.

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