“Non si può non comunicare” cita il primo degli assiomi della comunicazione della scuola di Palo Alto (California), di cui uno dei maggiori esponenti fu Paul Watzlawick. Un fattore che abbiamo voluto mettere alla prova analizzando alcuni dei volti mediatici dell'emergenza Covid-19. Se da un lato, infatti, troverete come fonti contesti istituzionali, in cui i discorsi sono scritti, gli atteggiamenti misurati e gli abbigliamenti hanno tutto il tempo di essere curati, dall'altro lato abbiamo provato a definire gli stili comunicativi che emergono in cinque tra le figure più esposte a livello mediatico durante questa emergenza, avvalendoci di una materia della psicologia definita “programmazione neurolinguistica” (PNL).
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Sono molteplici i contributi che fin dalle prime fasi dell’emergenza Covid-19 sono stati forniti da opinion leader, influencer, comunicatori di ogni natura. A oltre un mese dall'inizio della pandemia, pochi sono risultati effettivamente rilevanti, a partire dal documento scritto da Scott Kronick. Ai più dirà poco, ma se si nomina l’agenzia pubblicitaria di cui è amministratore delegato in Asia, permette di comprenderne l’autorevolezza: parliamo della Ogilvy, colosso storico della comunicazione pubblicitaria internazionale, per la quale ha realizzato il vademecum sulla comunicazione d’emergenza aziendale chiamato “How to communicate in turbolent times”.
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