Dal Vajont a IT-Alert: riflessione sulla fiducia pre emergenza

immagine del Vajont

“Scrivo da un paese che non esiste più” è uno degli incipit giornalistici più famosi della storia. Giampaolo Pansa, inviato de La Stampa, inizia così l’articolo che venne pubblicato sul giornale due giorni dopo l’esondazione massiva di migliaia di metri cubi d’acqua dalla diga del Vajont, che la sera del 9 ottobre 1963 spazzò letteralmente via la vita di 1.910 persone nel sottostante paese di Longarone. Da qui partiamo, per comprendere le dinamiche che ancora possono aiutarci nel comunicare un disastro, sia esso di origine naturale o antropica.

Comunicare l’emergenza

Pensiamo al valore del tempo e dello spazio all’interno della citazione. Il tempo è il presente, in quel “scrivo” e in quel “non esiste”. Lo spazio è quella discrepanza che cogliamo tra il “paese” che per sua stessa definizione è un abitato, fatto di strutture e popolato di persone, e quel “più”. Il paese è il soggetto privo di esistenza. Quando avviene un evento drammatico, quello che è complesso comunicare è proprio questo stato, qualcosa che poco tempo prima prima era vivo e in un attimo non esiste più. La riflessione che porta in sé la comunicazione nella fase acuta di un’emergenza e post evento, deve essere quella di cogliere con lucidità oggettiva (che dovrebbe rientrare tra le abilità interpretative del giornalista) quanto ha funzionato ma, soprattutto, le criticità emerse. Questo perché ogni post emergenza, nel caso del Vajont lungo ormai 60 anni, deve essere seme per la prevenzione futura, anche e innanzitutto comunicativa. Significa che dal Vajont dovremmo aver imparato importanti lezioni di giornalismo, ma anche – prima – di indagine e ricerca per raccontare la realtà (una realtà, perlomeno, quella di chi scrive) dei fatti, come fece Tina Merlin, dato che i precedenti franosi del monte Toc (a partire dal nome, se ci si pensa, che in dialetto locale significa “pezzo”) erano noti. «Si era dunque nel giusto quando, raccogliendo le preoccupazioni della popolazione, si denunciava l’esistenza di un sicuro pericolo costituito dalla formazione del lago. E il pericolo diventa sempre più incombente. Sul luogo della frana il terreno continua a cedere, si sente un impressionante rumore di terra e sassi che continuano a precipitare. E le larghe fenditure sul terreno che abbracciano una superficie di interi chilometri non possono rendere certo tranquilli» aveva scritto in merito a questi precedenti Tina Merlin su L’Unità il 21 febbraio 1961, oltre due anni prima del disastro. La riflessione, in un’epoca in cui tutti siamo comunicatori o potenziali diffusori di notizie, è d’obbligo.

Comunicazione pre emergenza: il tema della fiducia

Fidarsi di chi ha svolto realmente ricerca e indagini, pretendere i dati e i fatti sono due necessità dei nostri tempi. Non in un’ottica di rendere redivivo l’Illuminismo (come la corsa alla scienza oggigiorno potrebbe far pensare), bensì quale strumento che abbiamo a nostra disposizione anche per ottimizzare l’approccio umano. Un esempio recente è il caso di IT Alert, sistema di allarme pubblico per inviare in diretta alla popolazione messaggi cruciali in caso di gravi emergenze, imminenti o in corso. I telefoni cellulari vengono raggiunti tramite tecnologia cell-broadcast. Questa consiste nella trasmissione delle informazioni tramite le torri cellulari, in una determinata area geografica, utilizzando un canale dedicato, che non genera alcun carico aggiuntivo sulla rete stessa, in quanto i messaggi non sono indirizzati singolarmente ma su canali indipendenti e dedicati. Quando il messaggio viene ricevuto, appare come una notifica o un pop-up sullo schermo del telefono. Gli utenti possono quindi leggere il messaggio per ottenere informazioni importanti o di emergenza. Di fronte a questa tecnologia, destinata alla più rapida comunicazione in situazioni di emergenza (nel dettaglio di IT-Alert prevede notifiche in caso di maremoto generato da un sisma, collasso di una grande diga, attività vulcanica, incidenti nucleari o emergenze radiologiche e incidenti rilevanti in stabilimenti industriali), la rete si è polarizzata, tra divinatori del sistema e complottisti a cavallo dell’ultima tendenza, ovvero la violazione della privacy. La giusta posizione propende più per i primi. Perché il sistema di cell-broadcast consente agli operatori telefonici di inviare messaggi a chiunque – indistintamente e impersonalmente – si trovi in prossimità dell’area interessata coperta da specifiche celle di trasmissione della rete cellulare di uno specifico territorio. Nessun dato personale di chi riceve il messaggio viene in alcun modo trattato (raccolto, archiviato, consultato, ecc.). Inoltre, il sistema è unidirezionale (dall’operatore telefonico al dispositivo) e non consente di ricevere alcun tipo di dato di ritorno o feedback dai cellulari raggiunti. Sul punto, il Garante per la protezione dei dati personali ha fornito parere positivo. È previsto, infatti, che il messaggio di allerta sia inviato indistintamente e contemporaneamente a tutti i dispositivi cellulari compresi in una determinata area geografica (c.d. area target), in modalità broadcast. Pertanto, gli apparati di trasmissione di ciascun operatore potranno inviare il messaggio ai propri clienti, ma anche ai clienti di altri operatori di telefonia mobile, in modo del tutto indifferenziato, imprevedibile a priori e, comunque, non tracciabile. Sul punto si evidenzia, infatti, che il servizio cell-broadcast non prevede alcuna risposta di “avvenuta ricezione” da parte del dispositivo mobile dell’interessato. Il Garante ha valutato, inoltre, positivamente la misura prevista volta a consentire la disattivazione autonoma da parte dell’interessato.

Vajont e IT-Alert: una riflessione sulla fiducia

Realmente, a 60 anni dal Vajont, vogliamo precluderci la possibilità di metterci in salvo qualora degli esperti abbiano rilevato il pericolo in un’area in cui ci troviamo? Immolarsi in nome del diritto alla non violazione della sfera privata, quando magari la nostra privacy è un colabrodo tra app, giochi online e intelligenza artificiale galoppante (che fa delle nostre tracce in rete ancora, allo stato attuale, quel che vuole) rappresenta davvero una frontiera avanguardistica di pensiero critico? Per richiamare la Zuboff, il “capitalismo della sorveglianza” intende trasformare la predittività dell’esperienza umana in materia prima economica. Anche solo questo dovrebbe bastare a farci capire che se qualcuno volesse fare i soldi sull’esperienza umana converrebbe continuare ad arrivare dopo, comportarsi come chi ha ignorato i segnali attorno alla diga del Vajont e, male che vada, scaricare le responsabilità a emergenza avvenuta. Forse, disabituati come siamo a comprendere il valore umano e umanitario della prevenzione, ancora stupisce che non ci siano interessi di tracciabilità e di business nell’implementare un sistema di comunicazione preventiva e destinata alla fase acuta di un’emergenza qual è IT-Alert.

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