Per diverso tempo c’è stato un documento reperibile su internet, prima della sua rimozione ufficiale per “Istigazione a delinquere” (aggravata dalla finalità di terrorismo), che lo Stato Islamico (IS o Daesh) usava per rivolgersi alla popolazione italiana o, per essere più precisi, per arruolare in modo argomentato foreign fighters nella nostra Nazione. Si chiamava “‘Lo Stato Islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare” e basava la sua autorevolezza e il potere persuasivo su quello che è un importante vantaggio comunicativo: la proprietà linguistica.
Collocazione storica del documento analizzato
Nel dettaglio, questo documento, con le sue 64 pagine, aveva una collocazione temporale molto precisa, necessaria da sapere prima di ogni ragionamento. L’anno è il 2015, quello degli attentati di Parigi che, comunicativamente, hanno segnato il passaggio dall’immagine del terrorista quale “lupo solitario” alla consapevolezza di essere di fronte a una organizzazione strutturata. Allo stesso tempo, parlare di un documento del 2015, significa avere di fronte un emittente sicuro di sé, la realtà para-statale di matrice islamica più radicale e violenta dopo l’11 settembre 2001, prima della sua sconfitta militare in Siria ed Iraq nel 2017.
Analisi comunicativa del documento
Questo documento è a tutti gli effetti un manifesto, metodologicamente ben strutturato. All’interno della premessa vengono fornite (quindi, da subito) le fonti delle informazioni contenute. A seguire, più che la teoria, viene presentata la pratica. Non quella che l’opinione pubblica potrebbe aspettarsi (quella violenta e spettacolarizzata che le testate italiane si sono rifiutate di diffondere) bensì interviste a figure autorevoli, accompagnate da promesse di servizi ai cittadini, citazioni del Corano a introduzione di ogni paragrafo, quale sigillo di una autorevolezza che arriva dall’alto. La scelta stilistica è chiara, il lessico ricercato, il tono di voce è positivo. Per fare un esempio semplice, nel presentare l’organo di controllo della polizia islamica, il titoletto cita “La Hisba, la polizia che ordina il bene e proibisce il male“. Risulta spontaneo, quasi retorico, sposare e non contrastare un sistema che garantisce il bene obbligatorio per norma e che il male venga proibito. Degno di menzione, poi, è il capitolo dedicato all’arte e, in primis, alle “Grafiche Islamiche al femminile“. Il font dei titoli e dei sottotitoli, fino a quel punto in nero o al massimo in rosso per mettere qualche termine in evidenza, è un tripudio di colori. La prima frase della sezione dedicata a questo tema cita testualmente “La donna dal punto di vista islamico è considerata una regina, un gioiello da preservare, così lo Stato Islamico ha voluto sottolineare questo aspetto creando grafiche dedicate alle sorelle.”. Seguono immagini di cartelli pubblicitari e murales che, stando all’italiano, viene ammesso come siano state create dallo Stato Islamico stesso per dedicarle alle donne, mettendo in chiaro da subito comunque chi ne sia l’autore.
La padronanza linguistica quale fattore di autorevolezza
L’intero documento è ricco di immagini, colorate, spesso tratte da contesti urbanistici, alcune immagini sono studiate per avere un impatto emotivo forte, di compassione o indignazione. Tutto parla di solidità, di tutela assoluta di chi sposa questa realtà che sembra fornire solo vantaggi e un amore ricambiato con i musulmani. Il fatto che la presentazione sia svolta in modo eccellente dal punto di vista della padronanza linguistica (mai banale), dell’analisi logica e grammaticale (corretta e anche talvolta elaborata), porta a pensare che dietro vi sia un supporto a livello madrelingua italiano nella stesura del testo. Un italiano di alto livello. Per capire meglio non possiamo pensare di imparare l’inglese guardando le serie tv, per quanto famose. Come dice la docente Eleonora Oggiano: “È come se uno straniero cercasse di imparare l’italiano avvalendosi delle nostre serie più note, ad esempio Il Commissario Montalbano o Gomorra“. Lo stesso principio vale per chi impara l’italiano e, in questo caso, siamo ad alti livelli di padronanza linguistica, non l’italiano colloquiale delle serie tv o di chi magari lo ha conosciuto al lavoro, né quello conversazionale e confidenziale da social network.
Lo scenario comunicativo attuale
Cosa succede oggi, non solo post 2017, ma – compiendo un salto non indifferente – dopo il periodo pandemico? Come dicono Marco Di Liddo e Arturo Varvelli nel report realizzato per CeSI, L’Evoluzione della narrativa jihadista post-califfato:
La resilienza delle organizzazioni jihadiste è legata indissolubilmente alla capacità di intercettare il malcontento popolare ed il disagio individuale. In questo senso, la propaganda e la comunicazione rappresentano la “rete” con cui al-Qaeda e lo Stato Islamico pescano nel bacino di soggetti e comunità a rischio. Dunque, più aumentano i fattori di criticità sociale, economica e psicologica, più reti vengono gettate e più la loro trama diventa fitta.
[…]
la diffusione del virus ha avuto impatti economici, sociali e psicologici deleteri, aumentando a dismisura quelle condizioni di vulnerabilità su cui il jihadismo specula. In tal senso, l’analisi della comunicazione e della propaganda ci dicono quanto al-Qaeda e lo Stato Islamico abbiano investito nell’incertezza pandemica.
Significa che nei mesi passati il proselitismo ha continuato a diffondere il sentimento di solidità, di appartenenza rispetto a ciò che accadeva nel mondo. Quando si parla di “propaganda jihadista” dello Stato Islamico bisogna intendere precisamente quell’insieme di azioni intese a conquistare il favore o l’adesione di un pubblico crescente mediante ogni mezzo idoneo a influire sulla psicologia collettiva e sul comportamento delle masse. E su cosa fa leva quindi? Sul Covid quale castigo divino, che per i fedeli implica una apertura di opportunità, senza nessuna compassione, verso l’Occidente in crisi. L’intera narrativa, comunque, pone il fuoco dell’attenzione sulla possibilità di farsi proteggere e/o far parte di una realtà alta, solida, di tutela, non tanto sul contrastare l’Occidente. Quelli che possiamo definire “buonismo” e “populismo” imperano sempre, lasciando tuttavia delle tracce di sdegno che possano sempre colpire gli istinti dei più disperati, il tutto al passo con la padronanza, anche, dei sistemi tecnologici in continua evoluzione.
Conclusioni costruttive
In un’ottica costruttiva, soprattutto in un periodo in cui la nostra cultura linguistica si trova a fare i conti con la categoria dei cosiddetti “analfabeti funzionali”, sapere che la padronanza linguistica è un vantaggio può renderci più consapevoli ad allenarla. Nello specifico del caso qui citato, può permetterci di usare gli stessi strumenti comunicativi, di sradicare la componente di idealizzazione e, in ultima istanza, magari prevenire l’opera di arruolamento di foreign fighters. Come fare? Rimane fondamentale interrogare la storia e riconoscere gli obiettivi di ogni interlocutore, a maggior ragione se lo si teme. Nel caso dello Stato Islamico entrambe le operazioni si racchiudono in una sua necessità, quella supremazia da dover recuperare rispetto al recente passato, che può far meglio discernere le sue argomentazioni e far dare il giusto peso a chi si dovesse imbattere nelle sue capillari e approfondite operazioni comunicative.