In questi giorni di violento conflitto tra Russia e Ucraina emerge eclatante l’antitesi tra le due leadership, quella del presidente russo Vladimir Putin e quella del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, anche attraverso i due stili comunicativi.
Le biografie li pongono già di per sé agli antipodi: oltre a una comune laurea in giurisprudenza, appartengono a generazioni diverse, il primo cresciuto con il mito della forza fisica e dell’assolutismo, quasi a riscatto delle modeste origini, il secondo con una visione moderna, dalla carriera di successo nell’intrattenimento comico al passaggio a capo di una Repubblica, amato dal popolo (73%: è la percentuale di voti con cui, nel 2019, Volodymyr Zelensky si aggiudicava le elezioni presidenziali ucraine). Nel fronteggiarsi, queste due matrici rimangono evidenti nella comunicazione, che diventa espressione stessa dei due differenti stili di leadership.
Putin, tra captatio benevolentiae e regime
Vladimir Putin opera su due terreni: le pubbliche relazioni e il controllo dell’informazione. Le prime consentono di esprimere empatia e ascolto, ma lo scopo è il secondo, ovvero la selezione delle informazioni da divulgare e di quelle da omettere. Nella sua ottica, quanto compie è una sorta di favore alla società mass mediatica: si è assegnato l’onere di verificare che la popolazione non venga manipolata dagli interessi commerciali dei proprietari dei media. Una filosofia con cui oggi può annunciare il ritiro da “internet“, alludendo così a una intranet in cui la “camera dell’eco” che ha creato, sottostante alla selezione del Cremlino, può trovare vigore e alimentarsi con contenuti generati al suo interno.
In tutto questo operare, Putin sceglie quale canale privilegiato per comunicare con la popolazione la televisione, mezzo tradizionalmente one-to-many, dall’autorevolezza antica, ma anche emblema di solidità e affidabilità, rispetto ai salottieri social. Addirittura, in epoca pre-Covid, era presente nei palinsesti un format chiamato Linea diretta con Vladimir Putin in cui era a disposizione delle domande della popolazione. Viceversa, molto semplicemente, se qualcosa non rientra nel politicamente neutralizzato, viene rimosso dai canali. È il caso dello showman Ivan Urgant, famoso in Italia per aver creato una parodia delle nostre trasmissioni di Capodanno, che a seguito di un post Instagram dello scorso 24 febbraio in cui dichiarava il suo “no alla guerra” è sparito da Pervvj kanal (Primo Canale, una delle emittenti ufficiali russe), dove presentava il talk show di successo: “Evening Urgant”.
Zelensky, tra immediatezza e call to action
Volodymyr Zelensky, con oltre 15 milioni di follower su Instagram oltre 5 su Twitter è, invece, il simbolo di una generazione che non teme il confronto, anzi, che sfrutta i canali social per divulgare la sua opinione, in chiave diretta e non retorica, che pone la diplomazia alle strette. Nei primi giorni di conflitto, infatti, sono stati celebri i suoi tweet in cui apertamente riportava quanto gli era stato detto e talvolta promesso dai leader dei Paesi europei nelle telefonate appena concluse. In questa maniera non sarebbe stato possibile per questi ritrattare o affermare il contrario, in tempi così rapidi e con la nitidezza tipica dei 280 caratteri di un tweet, da arrivare, appunto, prima (come tempistiche e concetti) delle dichiarazioni ufficiali.
Il leader dell’Ucraina, di origini ebraiche e madrelingua russo, è cresciuto in una prospettiva cosmopolita, ulteriormente illuminata dai riflettori della professione. Da attore, infatti, è necessario riconoscergli la presenza scenica. Da rappresentante di un popolo oppresso, tuttavia, anche la capacità di tenere il timone e non cercare l’enfasi ma la fattualità. La narrazione che costruisce, a distanza di poche ore tra un intervento social e l’altro, rimane di carattere motivazionale per il suo popolo e di leva all’azione per la vicina Unione Europea. Un seminare breve e continuo, destinato a tenere l’interesse alto e, allo stesso tempo, a creare un substrato di affidabilità, che lo renda più credibile agli occhi del mondo rispetto agli sparuti e artificiosi discorsi del suo diretto avversario. Le sue sono pubbliche relazioni online, ad esempio quando ringrazia Elon Musk per il supporto tecnologico con Starlink, oppure quando usa la sottile arma dell’ironia, per non far dimenticare a nessuno la sua umanità, simbolo di vicinanza innanzitutto al suo popolo. Un popolo in cui lui si identifica sempre: se ben pensiamo, a un primo impatto, Putin è l’oppressore, ben distinto dal popolo russo che viene visto come una vittima del suo operato. Zelensky è il rappresentante, primus inter pares, del suo stesso popolo, oppresso.
Prospettiva futura: la polarizzazione
Due strategie entrambe, due utilizzi del potere comunicativo in due ruoli estremamente diversi. All’orizzonte, tuttavia, emerge una criticità destinata a radicarsi sul lungo termine a livello culturale: vi è la conferma che la polarizzazione della comunicazione supporta anche quella ideologica, a scapito, sempre, di chi gli strumenti per difendersi e per informarsi meglio non li ha.
Aggiornamento del 13 marzo 2022
Attraverso il video visibile a questo link, con le simulazioni di bombardamenti sui principali monumenti di Parigi, l’Ucraina ha cercato di suscitare un impatto ulteriore sull’opinione pubblica europea, aumentando- rispetto a quanto affermato in precedenza in questo nostro articolo – l’asticella dell’enfasi della sua propaganda. Una narrazione da videogame, già vista nella propaganda dello Stato Islamico, comunicativamente condannata nella cultura europea per il suo far leva su una non-realtà ai fini di suscitare compassione, paura e ulteriore instabilità psicologica.
1 comments On Lo stile comunicativo è lo stile di leadership
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