La Dirty Dozen da considerare in emergenza

Qual è il valore del fattore umano nella generazione dei rischi? E quanto può influire in emergenza?
Ci sono stime che vanno dal 64% nel mondo della protezione dei dati all’80% negli incidenti stradali: significa che ben poca percentuale rimane quella imputabile a carenze di natura tecnica.
Per meglio comprendere la variabilità derivante, appunto, dagli errori commessi dall’uomo, siano essi per scarsa consapevolezza, insufficiente preparazione o cattiva organizzazione, ci affidiamo in questo articolo a quella che viene definita The Dirty Dozen, la “sporca dozzina” di fattori imputabili all’essere umano che, se non considerati, possono rendere inefficaci perfezione tecnica, previsioni e prevenzione.

“Quella sporca dozzina”: le origini (non cinematografiche)

A individuare e definire così questo concetto fu Gordon Dupont, nel 1993. Un trascorso come investigatore tecnico per il Canadian Aviation Safety Board, per poi diventare il coordinatore dei programmi speciali del Canadian Transportation Safety Board. In entrambe le posizioni vide in prima persona i tragici risultati della manutenzione e dell’errore umano. Quando divenne responsabile dello sviluppo di programmi che servivano a ridurre gli errori di manutenzione, compilò un elenco dei 12 fattori più comuni che, influenzando l’individuo, lo portavano a commettere un errore. Questi dodici fattori furono chiamati “The Dirty Dozen”, proprio per indicare la loro connotazione negativa, riferendosi all’omonimo film del 1967 in cui protagonisti sono dodici detenuti.

La sporca dozzina

L’elenco originale nasce, quindi, nel campo dell’aviazione civile, ma oggi viene utilizzato come concetto introduttivo per comprendere il ruolo del fattore umano nell’alimentare il rischio. Non si tratta di un ordine gerarchico, sono fattori che l’essere umano può incontrare nel suo quotidiano, anche inconsapevolmente e che, come vedremo, molto devono alla capacità relazionale e comunicativa delle persone. Virtù che si possono allenare in tempo ordinario rispetto a un’emergenza.

Si tratta di:

1- La mancanza di comunicazione: riguarda, nel dettaglio, la carenza di sistemi di comunicazione strutturati, di condivisione di piani di comunicazione, di codici e, anche, della superficialità con la quale viene considerata la materia. Per ovviare è necessario stilare e condividere un piano di comunicazione, protocolli, check-list, assicurarsi la formazione in materia e comprendere il valore fondamentale del feedback.

2- Il compiacimento: ovvero la convinzione che il proprio operato e la propria esperienza siano efficaci e privi di errore. Invece la possibilità di errore esiste, ci fa umani, ma da professionisti ci deve anche far stare sempre sull’attenti: verso noi, prima che verso gli altri. Si profila all’orizzonte, quindi, una sana attività di autocritica.

3- La mancanza di conoscenze: viaggia spesso di pari passo con un eccesso di autostima. Di solito ci si accorge di non conoscere una cosa quando si tenta l’applicazione e non la si riesce ad attuare. Trovarsi, tuttavia, in emergenza a verificare ciò è chiaramente rischioso e da incoscienti. Si rende necessaria la condivisione di protocolli e la verifica che siano stati compresi e assimilati (si invita ad approfondire la differenza tra conoscenza e competenza, ad esempio secondo gli enunciati dei Descrittori di Dublino).

4- Le distrazioni: sono sempre presenti, è fisiologico che l’attenzione cali dopo un periodo di tempo, un argomento interessi di più o di meno o che intervenga del “rumore” ovvero qualche elemento di disturbo in un’azione. È per ridurre l’errore umano derivante da questo che si trova l’avviso “non disturbare”, riferito al conducente alla guida di pullman e autobus oppure sulle pettorine di personale sanitario impegnato nella somministrazione di terapie. Dove i processi sono più complessi e prevedono dei passaggi, è utile a tal proposito dotarsi di una check-list, ad esempio per la verifica di materiali, o una to-do-list per le operazioni da effettuare, da spuntare manualmente una volta terminato ogni singolo controllo. 

5- La mancanza di un lavoro di squadra: il sistema funziona quando, appunto, “sistema”, non quando aggrava una situazione. Al netto dei giochi di parole, è bene che tutti abbiano chiaro il proprio ruolo soprattutto in un’ottica più ampia e che comunichino l’avanzamento dei lavori. Non basta condividere piani e obiettivi iniziali (breifing) e prevedere un report finale (debriefing), è necessario e costruttivo confrontarsi e dare/ricevere feedback anche nel mentre.

6- La fatica: una situazione di stanchezza fisica e/o cognitiva abbassa l’attenzione, le difese e questo influisce su una gestione lineare e lucida delle operazioni. Forza ed emozioni diventano entrambe difficilmente controllabili. Conoscere sé stessi, gestire l’intelligenza emotiva, saper riconoscere segnali di stanchezza in sé e affiancare gli altri, se possibile, nel farlo possono essere soluzioni centrali. 

7- La mancanza di risorse: soccorsi o attrezzature che non arrivano o che non sono adeguate alla situazione possono portare a una gestione-tampone che è foriera anche di azioni rischiose, perché non ragionate nei loro sviluppi a lungo termine. Qui la prevenzione è fondamentale, affinché siano chiare le risorse necessarie per ogni emergenza e sia possibile sapere dove reperirle e in che tempi. 

8- La pressione: deriva dalle aspettative che il singolo, la famiglia, il contesto lavorativo e sociale pongono sulla persona. Questa condizione crea uno stress alla lunga che, se mal gestito, può arrivare ad avere risvolti negativi sul lungo termine o a repentini peggioramenti in condizioni di ulteriore stress, quale quello dettato da un’emergenza. Anche in questo caso, esser formati per riconoscere i segnali di allarme e avere un riferimento a cui parlarne, senza assumersi l’onere di autogestirlo, è l’unica soluzione. 

9- La mancanza di assertività: saper stare in relazione con l’altro in modo costruttivo, quindi positivo e con il riconoscimento delle emozioni reciproche presenti, è fondamentale affinché la comunicazione interpersonale sia efficace. Significa allenarsi tanto all’ascolto attivo quanto alla condivisione e, al solito, lo si può fare più agevolmente in tempi ordinari. 

10- Lo stress: rappresenta una risposta fisica e cognitiva dell’essere umano a una serie di stimoli percepiti come eccessivi e ingestibili. Saper riconoscere la legittimità degli incarichi che vengono assegnati e, per tempo, i propri limiti nell’attuazione o meno è necessario perché vengano, altrettanto per tempo, definiti percorsi strategici di suddivisione dei compiti e un’eventuale gestione preventiva dello stress. 

11- La mancanza di consapevolezza: rendersi conto di ciò che avviene significa andar oltre la situazione contingente e prevedere ove possibile gli scenari di sviluppo. Questo genera consapevolezza e adeguate possibilità di preparazione. L’incapacità di valutare le opportunità può lasciarci indietro rispetto ad altri sistemi o organizzazioni, ma l’incapacità di valutare i rischi può provocare danni anche irreparabili. Questo vale tanto per le azioni, quanto per le relazioni. 

12- Le norme: hanno la stessa radice di “normalità” ma in una connotazione che potrebbe fare più riferimento alla “consuetudine”. Un’applicazione quasi automatica di regole non scritte, ma talmente innervate in una organizzazione da essere considerare ovvie. È evidente come non ci siano, quindi, fondamenti scientifici, ma siano riferibili perlopiù a bias cognitivi. Per evitarne l’influenza bisogna attenersi a quanto è empiricamente dimostrato ed è stato condiviso nero su bianco.

La Dirty Dozen post Covid

L’Organizzazione dell’aviazione civile internazionale (International Civil Aviation organization – ICAO) ha realizzato un aggiornamento dedicato all’era post Covid in cui lo scopo è integrare, nella classica sporca dozzina, la consapevolezza di come l’affaticamento ulteriore, derivante dall’esperienza del lockdown, dal cambiamento di alcune procedure e dalle operazioni di volo in periodo post pandemico, possa influenzare le prestazioni e suggerisce anche delle semplici strategie di mitigazione del rischio, immediatamente spendibili. 

Sulla base della pluridecennale esperienza dell’aviazione civile, possiamo affermare che la conoscenza e la consapevolezza verso la Dirty Dozen è sicuramente da integrare nella formazione di chi voglia approcciarsi a ogni tipo di operazione comunicativa, a maggior ragione se destinata al contesto emergenziale.

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