La comunicazione d’emergenza: tra tradizione e innovazione

Anche la comunicazione d’emergenza sta vivendo un passaggio epocale, che dall’agenzia e dai quotidiani arriva al digitale.

Questa rivoluzione ha ridefinito il rapporto classico tra la narrazione e porta a indagare su cosa resti della comunicazione professionale nel pieno della rivoluzione digitale. Per una prima panoramica, possiamo parlare di tre scenari:

  • Ciò che non c’è più 
  • Ciò che resta 
  • Ciò che c’è di nuovo come opportunità

Comunicazione d’emergenza digitale: cosa non c’è più rispetto al passato

Una volta il mondo comunicativo era chiaro e preciso, con ruoli ben definiti, lineare. 

Eventi, fatti, persone che meritavano un racconto erano oggetto di interesse per i professionisti della comunicazione, i giornalisti, che li osservavano e li sceglievano, a seguito indagavano per completezza narrativa.

In quel mondo, i giornalisti avevano avuto un’esperienza diretta e/o parlavano con persone testimoni dirette di un fatto: erano professionisti dal ruolo fondamentale nel flusso delle relazioni umane. 

Questo mondo ora non esiste più e non tornerà. Rimane un ruolo, se affrontato seriamente, che è necessario per lo sviluppo di un paese. Vincola la stessa democrazia. Ma tecnicamente può essere ignorato o scavalcato. 

Comunicazione d’emergenza digitale: cosa rimane rispetto al passato

Le fonti oggi possono parlare da sole e lo fanno, scambiandosi notizie rilevanti per la comunità o, nel caso delle istituzioni, comunicando direttamente ai cittadini,come avvenuto durante il periodo di lockdown a contrasto del Covid-19 in Italia. 

Nell’universo digitale le informazioni prodotte dal giornalismo professionale occupano fisicamente lo stesso spazio e utilizzano gli stessi strumenti delle informazioni prodotte da altre persone, enti, gruppi, associazioni, ecc. 

È un mondo dove l’attività del pubblicare non è più relativa solo a un settore industriale, come una volta, in cui era limitato a grosse aziende che potevano permettersi un’agenzia o un ufficio stampa, ma è semplicemente l’atto di spingere un tasto sulla tastiera. In questo universo ciascuno di noi è di volta in volta fonte, selezionatore, comunicatore o pubblico. Se da un lato lo siamo sempre stati, ora è molto più evidente.

Comunicazione d’emergenza digitale: quali sono le nuove opportunità 

Il panorama fino a qui delineato offre anche un’opportunità prima inconcepibile, a nostra disposizione per l’opera di ricerca: ovvero la raccolta e la verifica dell’informazione.

Chiaro che non scompare la funzione del professionista, ma bisogna prendere atto dei nuovi confini, ridefinirla. La concezione di una volta prevedeva che il giornalista fosse chi scriveva sui giornali e il giornalismo fosse ciò che finiva sui giornali.

Oggi quel che resta della comunicazione professionale, che non la rende replicabile da altri genere di informazione, è il metodo. È l’informazione prodotta con il metodo giornalistico: le regole sono contenute nelle carte deontologiche e nelle prassi, che richiederebbero di essere comunque ridiscusse alla luce dei cambiamenti. Si può a tutti gli effetti parlare dell’applicazione di un metodo scientifico alla comunicazione d’emergenza, che parte dall’assumere come centrale il criterio della trasparenza. Significa andare oltre la filosofia della verità e dell’obiettività. Significa che il professionista può applicarsi ad attività che il cittadino comune non ha il tempo e la possibilità e la capacità di osservare con i propri occhi ed elaborare con le proprie conoscenze, come ad esempio:

  • Cercare e parlare con le persone, dirette testimoni
  • Analizzare i precedenti e lo storico
  • Scovare documenti che chiariscano il contesto

Azioni solo in apparenza ovvie, in realtà piena dimensione di una ricerca operata come si deve, oggi troppo spesso abbandonata per comodità e scarsa passione, ma questo atteggiamento a lungo termine può danneggiare l’autorevolezza stessa del comunicatore, con danni difficilmente reversibili.

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