C’è una comunicazione d’emergenza che più di altre è legata ai fattori geopolitici, è quella riservata alle crisi umanitarie. La comunicazione in questo caso diventa centrale per l’ottimizzazione delle risorse, prima che materiali, cognitive ed empatiche.
Crisi umanitaria, la definizione
È bene iniziare con una spiegazione necessaria alla comunicazione, ovvero che cosa si intenda per “crisi umanitaria”. Secondo l’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (OHCHR), una crisi umanitaria è “un evento singolare o una serie di eventi che minacciano in termini di salute, sicurezza o benessere di una comunità o di un grande gruppo di persone”.
Quindi, possono rientrarvi tanto cause naturali (ad es. desertificazione) quanto antropiche (ad es. guerre), in cui fondamentale elemento di individuazione è la condizione di minaccia di una comunità.
La comunicazione del concetto di crisi umanitaria
La diffusione della consapevolezza in materia di crisi umanitaria e del conseguente senso civico e di responsabilità molto deve, nel bene e nel male (si veda il paragrafo seguente), a quanto le logiche dei media impongono. La comunicazione del concetto viene resa spesso in modo estremamente basico: è una resa immediata a favore di pubblico, ma dimentica di rappresentare la narrazione di vicende di vita profonde delle persone, a monte, ad alta vulnerabilità, costrette a sfollare e spesso raffigurate, a valle, come una massa indistinta, priva di voce. Le logiche di salvezza umanitaria e meritevolezza, a seconda delle fazioni politiche che operano nella narrazione, sono così portate anch’esse alla semplificazione che, più precisamente, viene organizzata in polarizzazione, limitando così a due le categorie di pensiero che si percepiscono.
Polarizzazioni comunicative nella comunicazione delle crisi umanitarie
La polarizzazione nella comunicazione delle crisi umanitarie rischia di mettere il pensiero critico alle dipendenze delle ideologie. Assumere una posizione faziosa, mette l’utente sullo stesso piano di chi organizza i discorsi in funzione di interessi privati o politici e opportunità di costruzione delle agende economiche.
Questo avviene perché qualsiasi polarizzazione è generalizzazione e significa, quindi, non cogliere il dettaglio, in questo caso il senso dell’umano. Qualora, infatti, la polarizzazione sia apparentemente positiva, a favore delle persone coinvolte nella crisi, i discorsi assumono toni di pietismo, a rischio tossicità perché raffigurano comunque una porzione di civiltà come più evoluta (quella dell’emittente) e in grado di risollevare dalle sorti nefaste popoli più sfortunati, privati tuttavia in questo giudizio delle loro dignità e peculiarità culturali. La polarizzazione a sfavore degli sfollati, invece, spesso predominante perché più organizzata in termini mediatici e dai toni retorici più aggressivi, è tossica perché generalizza i motivi che portano agli spostamenti migratori per generalizzare, rendendo le persone coinvolte nella crisi umanitaria quale indistinta massa che usurpa e compie illeciti.
Sono entrambe strategie discorsive che distorcono la realtà e che rispondono a paradigmi dominanti di gestione delle migrazioni come fenomeno, ma prive appunto di senso dell’umano, quando avvengono.
Il fattore digitale nella comunicazione delle crisi umanitarie
In un’epoca quale quella attuale di profondi cambiamenti tecnologici, inoltre, un punto di attenzione va riservato all’uso del digitale, luogo di recupero di connessioni e comunità tra le persone che vivono una crisi umanitaria. I relatori speciali delle Nazioni Unite che hanno partecipato al vertice annuale RightsCon 2022 (al momento della pubblicazione di questo articolo, su https://www.rightscon.org/ non è ancora presente il report relativo) hanno espresso preoccupazioni fondate:
“per la riduzione dello spazio civico e l’aumento dell’autoritarismo digitale attraverso interruzioni di Internet, sorveglianza mirata, attacchi informatici e fisici a infrastrutture critiche di trasmissione e comunicazione, uso di droni da parte delle forze dell’ordine nazionali, nonché campagne di disinformazione e diffamazione, in particolare durante tali crisi”.
Le tecnologie digitali sono a un punto talmente avanzato da aver reso ormai le risposte umanitarie totalmente dipendenti dai programmi (si pensi all’identità digitale, con la raccolta di dati biometrici sensibili come condizione per accedere agli aiuti umanitari, qui si propone un’analisi). Questa frontiera rappresenta una ulteriore, nuova, attenzione da riservare alle persone più vulnerabili, così che l’impatto non sia sproporzionato. La già citata attività di diffusione di odio online, ad esempio, è una tattica spesso utilizzata dai governi oppressivi per giustificare la persecuzione delle minoranze e diffondere il dissenso, che oggi si manifesta nell’onlife, quindi in una continua restituzione tra online e offline.
Quale soluzione per una più efficiente comunicazione delle crisi umanitarie?
La comunicazione delle crisi umanitarie rimane fortemente legata alle dinamiche comunicative, che in un ambiente qual è l’infosfera sono interconnesse a interessi politici e con essi a quelli economici globali (a tal proposito si suggerisce il panoramico e illuminante testo di Floridi L., La quarta rivoluzione). Il comunicatore in materia deve assicurarsi di andare sempre a fondo, comprendere quali sono gli attori macro, le loro connessioni, i dati e le dichiarazioni. Allo stesso livello di attenzione e rilevanza, deve essere messa la cura dell’umano, degli attori micro, definizione non dimensionale ma da intendersi perché singoli individui, ricordando che ogni unità, che compone i dati di una cifra, indica una vita distinta e riconoscibile per completezza e dignità. Per creare una comunicazione sana, è bene quindi tenere alta l’attenzione su ciò che causa una crisi umanitaria, quali motivazioni, quali prospettive. Da operatori del settore, limitare la narrazione alle polarizzazioni o a qualsivoglia categorizzazione significa che per primi si opera privi di professionalità, poiché consapevoli di generalizzare un fenomeno caratterizzato dall’oggettiva complessità individuale.
Oltre ai link già citati, un ulteriore approfondimento è:
Carmela Maltone, «L’immigrazione nei media italiani. Disinformazione, stereotipi e innovazioni.», Line@editoriale [En ligne], N° 003 – 2011, Scritture italiane della migrazione, mis à jour le : 11/05/2017, URL : https://revues.univ-tlse2.fr:443/pum/lineaeditoriale/index.php?id=314.